Che l’Italia sia devastata da un esercito di
piromani e di untori è una leggenda metropolitana come quella dell’incendio di
Nerone. Ma un tempo è finito
La storia secondo la quale all’Italia sarebbe stato
appiccato il fuoco dalle Alpi alla Sicilia (quattordici incendi solo nella
città di Messina) da un esercito di piromani, mafiosi, camorristi speculatori e
padroncini di Canadair, è come la
favola dell’incendio di Roma appiccato da Nerone. Fa comodo a tutti dare la
colpa ai piromani quando i piromani sono
loro. Il vero piromane è Trump che rompe il timidissimo e solo preliminare
accordo mondiale sul clima, piromani sono gli interessi petroliferi e finanziari
che hanno bloccato fin qui le tecnologie già pronte per il passaggio alle
energie alternative, per le quali già oggi il parco delle automobili potrebbe
essere formato da auto elettriche e la motorizzazione su autostrada potrebbe
essere sostituita dalle ferrovie, piromani sono le economie speculative che
hanno fatto inaridire la terra, rinsecchire il verde, hanno privatizzato le
acque, abolito le guardie forestali, burocratizzato le procedure antincendio,
messo in ferie forzate guardie ambientali e vigili del fuoco; piromani sono quelli
che non battono ciglio quando già intere isole sono sommerse, terre fertili
sono diventate un deserto, i tropici avanzano e dalle riserve frigorifere dei
poli si staccano iceberg grandi come la Sardegna; piromani sono quelli che non
permettono l’immigrazione se non clandestina e ammassano fuggiaschi infelici in
campi di detenzione dove basta una bombola, una lite o una spedizione punitiva
di difensori dell’identità bianca per scatenare un inferno.
In questa situazione, quando il sole brucia la terra
fino a 45 gradi, basta un frammento di vetro, una bottiglia abbandonata, un
rifiuto di plastica per concentrare i raggi e accendere il fuoco alle stoppie,
ai campi riarsi, ai cigli delle strade inariditi, alle città stesse.
Si può cambiare? Sì, si può cambiare, se torna la
grande politica, non solo a mettere a tacere la petulanza dei piccoli arrivisti
italiani, ma a mettere insieme i popoli in un nuovo grande patto mondiale come
quello che fondò il diritto sovranazionale e mise al bando la guerra e perfino
la minaccia dell’uso della forza nel 1945 a San Francisco.
Diritto universale di migrare, apertura delle
frontiere e risanamento della terra sono i problemi più urgenti che con tenace
speranza papa Francesco ha messo davanti ai potenti riuniti per un loro
ennesimo balbettante vertice ad Amburgo nella prima settimana di luglio, con
una lettera che pubblichiamo qui accanto in questo sito.
Ma per cambiare rotta e registro bisogna prendere
atto che questa epoca suicida è giunta alla fine, e che un nuovo tempo sta
lievitando dal profondo, ed il tempo è questo, come argomenterà la nostra
assemblea del prossimo 2 dicembre a Roma.
Quasi a ricordarci che tutto un tempo è finito, si
sono accumulati i lutti di questo mese, tra giugno e luglio 2017. A metterli
tutti in una luce non di fine, ma di principio, era venuto il 20 giugno scorso
la grande rivendicazione papale delle profezia civile e religiosa di don
Milani; e le morti dolorose che si sono susseguite dopo quel giorno, quasi a
prolungarne il ricordo, sono state evocatrici di un intrico di dolori e speranze, di
sconfitte subite e di vittorie annunciate: da quella, il 23 giugno, di Stefano
Rodotà, a quelle di Ettore Masina, di Luigi Pedrazzi, fino alla morte il 13
luglio di Giovanni Franzoni. Ed è stato bello che nel commiato funebre dall’ex
abate di San Paolo l’attuale abate della basilica lo abbia in qualche modo
ricompreso nel mondo monastico, a cui Franzoni comunque apparteneva come
“monaco in uscita”.
Messe tutte insieme, queste morti sono un segno dei
tempi, che annuncia un passaggio d’epoca, così come nel 1992 avemmo il segno del
passaggio da una stagione di progetto e di speranza che si chiudeva a una
stagione di tristezza e restaurazione che si annunciava, quando mancarono insieme
padre Ernesto Balducci, David Maria Turoldo, Cettina Capocasale, Italo Mancini,
e la guerra tornava di moda.
Adesso invece una stagione sembra aprirsi, una
novità annunciarsi. I tempi si succedono, a volte scanditi da segni più vistosi,
a dirci che la storia va avanti, e nonostante tutto va verso l’aurora e non
verso il tramonto.
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