La pubblicazione del
libro di Bergoglio da parte del Manifesto rompe la convenzione moderna che ha
messo fuori la porta il discorso su Dio. Il papa non direbbe nulla di quello
che dice se non fosse motivato dalla fede, libero chi vi consente di credere o
non credere. Il problema dell’Islam
Raniero La Valle
Alle “cose mai viste” prodotte dal pontificato di Francesco
si è aggiunta ora la diffusione urbi et
orbi dei tre discorsi del papa ai Movimenti Popolari ad opera di una casa
editrice laica (Ponte alle Grazie) e di un giornale con una tradizione
militante come quella del “Manifesto”. Vi è in questa proposta editoriale
un’intuizione informativa straordinaria, perché nel mare di scritti e discorsi
di papa Francesco estrarre e mettere insieme quei tre discorsi significa aver
colto l’evento nell’evento, ovvero il senso complessivo del suo ministero:
perché in quei discorsi non ci sono solo terra casa e lavoro, c’è la sua
visione del mondo, struttura e sovrastruttura.
Ma dove sta la notizia? La notizia non sta nel fatto che ”il
Manifesto” sia d’accordo col papa nel riconoscere i poveri (o, come direbbe il
giornale, le classi povere) non solo come vittime dell’ingiustizia, ma come
soggetti che lottano contro l’ingiustizia, né sta nel fatto che condivida
l’analisi sull’alienazione del denaro (che il papa chiama idolatria) e
sull’economia che uccide. È logico che sia così.
La notizia sta nel
fatto che la modernità, nelle sue espressioni più mature, non ha più bisogno di
esibire come suo punto d’onore quel certo patriottismo laico che le imponeva di
prendere le distanze, pur col dovuto rispetto, da tutto ciò che sapesse di
religione e di chiese. Ricordo un libro a più mani, per una campagna elettorale
romana, in cui ad autorevoli esponenti della sinistra fu chiesto un articolo in
cui ciascuno esprimesse le sue speranze e il suo progetto per il futuro di
Roma. E uno scrisse una sola riga: “vorrei una Roma senza papa”.
Ora qui si manifesta invece una modernità senza settarismi,
che sente di non aver più bisogno, per svolgersi, di “fare come se Dio non ci
fosse”. Fu questa la condizione che i pur cristianissimi fondatori del diritto
naturale e della società laica moderna posero perché la storia non venisse
bloccata dal dogmatismo ecclesiastico; fu quando i giuristi subentrarono ai
teologi lanciando loro il grido (come ha
ricordato Carl Schmitt): “Tacete teologi, in un compito che non è il vostro”.
Anche a crederci, bisognava far finta che Dio non ci fosse, bisognava non
parlare di lui, perché la libertà potesse fluire. E la Chiesa paradossalmente
fu d’accordo, perché, tolto Dio, al suo posto si era messa lei. Ma è proprio la
cosa che ora non si può fare, quando si prende Bergoglio come interlocutore, come punto di
riferimento, come portatore di una proposta attendibile; non si può togliere Dio dalla comunicazione
con lui. Si può credere o non credere, come accade nei Movimenti Popolari che
si riconoscono in lui; ma non si può far finta che per papa Francesco Dio non
ci sia, quando invece è la ragione di tutto.
Non si può, per così dire, prendere Francesco al netto di
Dio. Si può invece riconoscere che quando il discorso religioso raggiunge
quelle profondità, esso diventa pienamente laico, cioè umano, e quindi
disponibile a tutti, senza che il credere o non credere ne sia una condizione o
un impedimento. Da una parte e dall’altra: come spiega Alessandro Santagata
nella sua “postfazione”, “la Santa Sede non ha manifestato in alcun modo il
desiderio di assorbire i movimenti nell’alveo del mondo cattolico”. Quindi
l’incomunicabilità tra le due culture sembra caduta.
L’altra notizia sta nel fatto che la religione, nella sua
attuale espressione ecclesiale interpretata da papa Francesco, ha veramente
cambiato il suo volto; da un crescente numero di poveri essa non è più vista
come il fiore che orna la catena degli oppressi, ma è percepita invece come
compagna e come sostegno, o addirittura come movente e come forza, per spezzare
le catene.
Nella bella prefazione del prof. Gianni La Bella a questo
libro, viene ricordata quella espressione di papa Francesco secondo la quale
stiamo vivendo un cambiamento d’epoca, più che un’epoca di cambiamenti. Ma in
che giorno finisce un’epoca? Il suo inizio e la sua fine sono spesso fissati in
date convenzionali legate anche a piccoli avvenimenti. L’epoca dell’asserita incompatibilità del progresso
storico col pensiero di Dio può
simbolicamente essere fatta cominciare in quel giorno del 1625 in cui il
calvinista olandese Ugo Grozio scrisse nel suo “De iure belli ac pacis”, che tutto poteva andare bene lo stesso
“anche nella blasfema ipotesi che Dio non ci fosse o non si occupasse
dell’umanità”. Se farà scuola il fatto che il mondo laico non si senta più
obbligato a questa obbedienza, la fine di quest’epoca si potrebbe mettere in
calendario in quel 5 ottobre del 2017, quando un editore laico e un giornale
comunista sono usciti in piazza per nulla
turbati all’idea di veicolare il sogno di un papa argentino, ma pur
sempre romano, e senza il rischio di perdere la loro laicità.
Se questo è il significato più generale di questa iniziativa
editoriale (anche se i suoi autori non l’ammettono), il segnale è di
straordinaria importanza nell’attuale momento storico. Infatti oggi il problema
è quello del rapporto tra l’Occidente e l’Islam. L’Occidente non sa che pesci
pigliare e non ha discorso, perché la sua proposta è che l’Islam si modernizzi,
riguardo al rapporto tra società e religione, mettendo la fede fuori servizio
esattamente come è avvenuto nelle società secolarizzate dell’Occidente, che per
i Paesi musulmani sono anche quelle da cui maggiormente hanno avuto a soffrire.
Ora se l’Occidente si rivolge ai popoli dell’Islam presentando la sua ricetta:
Fate anche voi come se Dio non ci fosse, il discorso non comincia nemmeno, e
l’unità e la pace del mondo non si possono fare. Se invece si ammette che il
dialogo, e la democrazia, e la modernità, e i diritti non hanno come condizione
e presupposto la esclusione di Dio, ma la sua nuova comprensione “in quel modo
che la nostra età esige”, come diceva papa Giovanni, e si affermerà tra i
credenti una lettura non fondamentalista e perciò non suicida del Libro,
proprio come è cominciato ad avvenire nelle Chiese dopo il Concilio, il
confronto potrà essere fecondo, e si potrà avanzare da una parte e dall’altra,
e forse la terra si potrà salvare.
Raniero La Valle
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