Il referendum veneto
di Raniero La Valle
L’esempio del Veneto ha quasi il
sapore di un ultimo avviso, ancora in tempo utile, però. Ce ne occupiamo anche
perché si tratta dell’ex Veneto bianco, a cui la solidarietà e l’amore per il
bene comune avrebbe dovuto rimanere nel sangue. Certo, commentare i risultare
all’indomani di un referendum è “fare politica”: ma chi ha detto che “i poveri”,
cioè “tutti”, non debbano fare politica? O che dicendosi “Chiesa” contraggano
un’interdizione al pensiero politico, cioè debbano scegliere tra un’alienazione
e una cittadinanza a pieno titolo?
Il Veneto è un ultimo avviso,
perché la sera del referendum, vinto dalla tesi piuttosto elastica di una
maggiore “autonomia”, la richiesta immediata (già messa in un progetto di legge
regionale di un solo articolo) è stata: il Veneto lasci la condizione comune
della povera Italia che arranca, si prenda i privilegi di una Regione a statuto
speciale, e trattenga per le sue spese i nove decimi dei soldi destinati alla
fiscalità nazionale.
Ciò è legittimo o è fuori legge?
Allo stato delle cose è legittimo, perché le leggi non impediscono di
perseguire il proprio solo interesse, contro quello di tutti gli altri. Non c’è
una legge in un solo articolo, né regionale né nazionale, che dica: “l’egoismo
è proibito”. La Costituzione sì, lo impedirebbe, e infatti la richiesta veneta
si potrebbe attuare solo con una modifica costituzionale, ma non è proibito di
provarci, e la Costituzione è oggi in gran parte (nella sua polpa, cioè)
svuotata ed esposta a tutte le malversazioni grazie alle picconate e alle
rottamazioni subite dal 1989 al 4 dicembre scorso.
Però, qual è la ricetta? La ricetta
è: prendi i soldi e scappa. Le cose peggiorano sempre più (il lavoro, i
giovani!) e dell’Italia hanno fatto un deserto: ebbene, usciamone da soli,
prendiamo i nostri soldi (fatti in Italia e presi dall’Italia) e ce li
spendiamo e giochiamo sui tavoli che vogliamo noi. Vale a dire: ci delocalizziamo,
nel senso preciso del termine, cioè ci tiriamo fuori dal luogo che abbiamo in comune,
croce e delizia della nostra appartenenza ad una comunità stabilita in un
territorio, e ce ne andiamo a fare fortuna mettendoci – quanto a portafogli e
affari – fuori di esso; non è l’indipendenza, non è Catalogna, è andare dove ti
porta il cuore (non quello delle canzoni, ma quello che sta subito sotto al
portafoglio). E qui a dirci quello che stiamo facendo viene una lucida voce dal
passato – da poco riscoperta – e ci dice:
badate, uscirne da soli è Marchionne, uscirne tutti insieme è politica. Ma i
soldi con cui per generazioni l’Italia povera (che voleva diventare,
riuscendoci, una grande potenza industriale), ha finanziato la Fiat, Marchionne
è andato a investirli fuori, il lavoro lo dà fuori, le tasse le paga fuori, i
sindacati concilianti se li va a trovare fuori; l’Europa non lo trattiene e
dell’Italia gli resta solo il blasone e la gloria, ma a lungo andare non riesce
più nemmeno a vincere un gran premio di Formula Uno. E se andiamo dal piccolo
al grande vediamo gli altri che vogliono uscirne da soli; ed ecco Trump che
dice “l’America prima” e finisce per mettere in volo e in allerta i B52 carichi
di atomiche, pronti a distruggere tutti gli altri, ma perciò anche se stessi.
Dunque la formula dell’uscirne da
soli non è salutare. L’Italia ne aveva un’altra, l’aveva messa, ahimè, in
Costituzione, ivi compresa la progressività delle imposte, cardine di una
democrazia effettiva, ed era quella dell’uscirne tutti insieme. È venuto il
momento di tornare a decidere tra l’una e l’altra formula.
Il merito, diciamo così, del
Veneto è quello di aver messo precisamente questa alternativa costituzionale e
politica al centro della prossima campagna elettorale. Perciò in ventiquattro
ore tutte le previsioni che si potevano fare sui risultati delle prossime
elezioni politiche sono saltate. La destra non può unirsi sulle posizioni di
Zaia, che sarebbero localmente vincenti, ma di certo perdenti sul piano nazionale,
quindi non è più scontato che, unita, vinca le elezioni; il partito democratico
non ne può approfittare perché non incrocia questa problematica, è stato
centralista e anti-regionalista nella recente proposta di riforma
costituzionale, e col treno si dice di sì a tutti ma non si risolvono i
problemi di nessuno; il pulviscolo delle sinistre non è competitivo, e il
movimento 5 stelle soffre dei suoi insuccessi amministrativi, della scivolata
contro le ONG sull’immigrazione e dell’essere stato prescelto da tutto il
sistema mediatico come il nemico da battere.
Sarebbe questo il momento in cui
se venisse fuori qualcuno che, non in nome della sinistra, ma in nome del
Paese, facesse una grande proposta di ritorno alla Costituzione, di ritorno
alla politica, di unità nazionale dal basso e di riforma dell’ordinamento
classista dell’Unione Europea, potrebbe fare la differenza; qualcuno cioè che
offrisse al “popolo” nella varietà delle sue istituzioni, delle sue
articolazioni e dei suoi bisogni, il progetto e la prospettiva praticabile di
uscirne, non ciascuno per sé, ma uscirne tutti insieme.
Raniero La Valle
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