Appello a resistere (katécon)
Katécon è la parola usata da Paolo apostolo per evocare la resistenza alle forze della distruzione e ciò che trattiene lo scatenarsi dell’inequità. L’alternativa all’irruente disordine non sta solo nella politica ma nella coscienza e nell’azione dei popoli. Due impegni prioritari: disarmo nucleare e ius migrandi
Sta raccogliendo firme per essere presentato prima del 2 dicembre a Roma un appello a resistere all’ “inequità” per stabilire una società di tutti a cominciare dai poveri, senza più politiche di genocidio. Primi firmatari due Premi Nobel per la pace, un console noto come lo “Schindler argentino”, un cardinale che presiede ai testi legislativi della Santa Sedeun filosofo della democrazia e dell’eguaglianza, don Ciotti presidente di Libera e altre personalità internazionali. Ne pubblichiamo in anteprima il testo in italiano. Chi vuole aggiungersi ai primi firmatari basta che scriva qui sotto nello spazio dei “commenti”: “aderisco al katécon” oppure mandi una e-mail a info@chiesadituttichiesadeipoveri.it
Alla fine della seconda guerra mondiale i popoli giudicarono la civiltà che li aveva portati a quella crisi, e si resero conto di come essa fosse avanzata nel tempo rendendosi più volte colpevole di razzismi aggressioni e genocidi. Nel 1948 essi adottarono la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, termine con cui si intendeva non solo lo sterminio di un intero popolo, ma tutti gli atti volti “a distruggere in tutto o in parte” un gruppo umano come tale. Pertanto essi decisero di passare a una civiltà di popoli eguali senza più genocidio.
Oggi però si ragiona, si decide e si governa come se quella scelta non ci fosse stata. Giocare a minacciarsi l’atomica tra Corea del Nord e Stati Uniti significa infatti ammettere come ipotesi il genocidio di uno o più popoli o di tutti i popoli; pretendere di rovesciare regimi sgraditi votando alla distruzione i relativi popoli come “danno collaterale”, è già genocidio; mettere in mano a un pugno di persone la maggior parte delle ricchezze di tutto il mondo vuol dire attivare “un’economia che uccide”, cioè genocida, poiché attenta alla vita di popolazioni intere, mettendole fuori mercato; continuare a incendiare il clima e a devastare la terra significa ecocidio, cioè scambiare il lucro di oggi con il genocidio di domani; intercettare il popolo dei migranti e dei profughi, fermarlo coi muri e coi cani, respingerlo con navi e uomini armati, discriminarlo secondo che fugga dalla guerra o dalla fame, e toglierlo alla vista così che non esista per gli altri, significa fondare il futuro della civiltà sulla cancellazione dell’altro, che è lo scopo del genocidio. Queste pratiche, oltre che malvagie, sono contro ragione; infatti nessuna di esse va a buon fine, mentre scelte opposte sarebbero ben più efficaci e vantaggiose, possibili e politicamente capaci di consenso.
Riguardo al popolo dei migranti, un popolo fatto di molte nazioni, l’illusione di conservare la civiltà scartando pezzi di mondo è particolarmente infelice, perché il rifiuto di accogliere e integrare migranti e profughi li rende clandestini, li trasforma in rei non di un fare, ma di un esistere. La conseguenza è che gli stessi Stati di diritto e di democrazia costituzionale tradiscono se stessi perché accanto ai cittadini soggetti di diritto concentrano masse di persone illegali, giuridicamente invisibili e perciò esposte a qualunque vessazione e sfruttamento, pur avendo tutti non solo lo stesso suolo ma lo stesso sangue.
Una tale situazione sembra evocare e rendere di attualità quello che agli albori del cristianesimo l’apostolo Paolo descriveva come “il mistero dell’anomia”, cioè la perdita di ogni legge e la pretesa dell’uomo e del potere “senza legge” di mettersi al di sopra di tutto additando se stesso come Dio. In quella stessa intuizione delle origini cristiane si annunciava però anche un “katécon”, una resistenza, una volontà antagonista che avrebbe trattenuto e raffrenato le forze della distruzione[1] e impedito il trionfo della fine, aprendo la strada alla risoluzione della crisi.
Comunque si interpreti questa antica parola, noi avanziamo l’urgenza che dai popoli si esprima una tale resistenza, si eserciti questo freno, come già avvenne nel Novecento quando il movimento della pace in tutto il mondo, interponendosi in modo non violento tra i missili nucleari da un lato e l’umanità votata allo sterminio dall’altro, riuscì a ottenere il ritiro della minaccia e a scongiurare la guerra atomica.
Due impegni prioritari
Due appaiono oggi gli impegni prioritari di questo resistere agendo[2]:
1 . Lottare perché le Potenze nucleari simultaneamente firmino e attuino il Trattato dell’ONU per la interdizione delle armi nucleari, cui già aderisce la maggior parte delle Nazioni;
2 . Lottare perché sia riconosciuto e attuato con politiche graduali e programmate il diritto universale di migrare e stabilirsi nel luogo più adatto a realizzare la propria vita. Lo ius migrandi, uno dei primi “diritti naturali” proclamati dalla modernità, sarebbe il volano di un profondo rinnovamento economico e sociale, e il più incisivo artefice della nuova identità di una società mondializzata con una umanità finalmente unita e custode della Terra che le è data per madre.
Ciò che auspica questo appello è che tale visione del mondo e della civiltà di domani non solo sia enunciata come ideale, ma sia assunta come compito, diventi resistenza e azione, si faccia “movimento”.
16 ottobre 2017
Firme: Adolfo Perez Esquivel, Premio Nobel per la pace 1980, Shirin Ebady, Premio Nobel per la Pace 1983, Enrico Calamai, ex console nel Paese dei “desparecidos”, noto come “lo Schindler argentino”, Francesco Coccopalmerio, cardinale presidente del Consiglio per i testi legislativi, Luigi Ferrajoli, filosofo del diritto, don Luigi Ciotti, Presidente di Libera, Leoluca Orlando, sindaco di Palermo, Raniero La Valle, giornalista, Grazia Tuzi, Franck Chaumon, psichiatre, Paris, mons. Raffaele Nogaro, ex vescovo di Caserta, Moni Ovadia, uomo di teatro, scrittore, Paolo Maddalena, giudice, ex vicepresidente della Corte costituzionale, Nino Fasullo, redentorista, Palermo, Sergio Tanzarella, storico della Chiesa, Napoli, Domenico Gallo, magistrato di Cassazione, Guido Calvi, giurista, Roma, Gian Giacomo Migone, storico, Torino, Tina Stumpo, Coordinamento Democrazia costituzionale, Roma, Monica Cantiani, Roma, Claudio De Fiores, costituzionalista, Napoli, Raul Mordenti, critico letterario, Roma, Raffaele Luise, giornalista, Roma, Innocenzo Gargano, monaco camaldolese, biblista, Giovanni Cereti, teologo cattolico, Enrico Peyretti, Torino, Bruno Secondin, teologo, Vittorio V. Alberti, Roma, padre Alez Zanotelli, missionario comboniano; Vittorio Bellavite, di “Noi siamo Chiesa”, Franco Ferrari, presidente Associazione “Viandanti”, padre Giulio Albanese, missionario, Antonietta Augruso insegnante, Andrea Melodia, giornalista, Luisa Morgantini, sindacalista, Gianni Minà, giornalista, Marinella Perroni, teologa, Giovanni Cereti, teologo, Massimo Lucchesi, giornalista, Vania De Luca, giornalista, Antonino Abrami, Acting President dell’International Academy of Environmental Sciences; Francesca Landini, informatica,
[1] “E ora sapete ciò che lo trattiene (katécon)”, 2 Tess. 2, 7-8.
[2] “Penserete esclusivamente ciò di cui risponderete agendo”, D. Bonhoeffer, Resistenza e resa, 1969, Milano, p. 235.
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