È una bella giornata per la Chiesa
perché una nuova notizia proveniente dal Vangelo viene annunciata a tutto il
mondo, una verità che pur racchiusa nella Parola di Dio non era ancora stata mostrata
alla luce; e questa volta il balzo innanzi nella espressione della fede non
avviene per la caduta in disuso di una dottrina o perché il popolo fedele
smette di crederci, ma per una pronunzia esplicita e un ripensamento dello
stesso magistero, nella persona del successore di Pietro. E la verità mostrata
alla luce è questa, che la pena di morte è inammissibile perché attenta
all’inviolabilità e dignità della persona.
Non era affatto scontato, perché il
Catechismo della Chiesa cattolica, riformulato nel 1992, diceva ancora
tutt’altro, e perché nello stesso Stato pontificio, fin quando si è esercitato
il potere temporale, la pena di morte era vigente e veniva inflitta a piazza
del Popolo con “mazzola e squarto”; poi passava la “Venerabile Arciconfraternita
di Gesù, Maria e Giuseppe dell’anime più bisognose del Purgatorio” a fare la
questua per l’Anima del condannato, senza però fermarsi “in tempo della
Giustizia nella Piazza del Patibolo”, come diceva la convocazione dei Fratelli
questuanti, che assicurava come per tal Opera Pia essi avrebbero acquistato
“merito grande appresso Dio”.
Ora un “Rescritto” inviato a tutti
vescovi a nome del Papa il 1 agosto, stabilisce una nuova versione del n.
2267 del Catechismo della Chiesa
cattolica, che dice così:
«2267. Per molto tempo il ricorso alla
pena di morte da parte della legittima autorità, dopo un processo regolare, fu
ritenuta una risposta adeguata alla gravità di alcuni delitti e un mezzo
accettabile, anche se estremo, per la tutela del bene comune.
Oggi è sempre più viva la consapevolezza
che la dignità della persona non viene perduta neanche dopo aver commesso
crimini gravissimi. Inoltre, si è diffusa una nuova comprensione del senso
delle sanzioni penali da parte dello Stato. Infine, sono stati messi a punto
sistemi di detenzione più efficaci, che garantiscono la doverosa difesa dei
cittadini, ma, allo stesso tempo, non tolgono al reo in modo definitivo la
possibilità di redimersi.
Pertanto la Chiesa insegna, alla luce
del Vangelo, che “la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità
e dignità della persona”, e si impegna con
determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo».
La formula definitoria tra virgolette è
tratta dal discorso di papa
Francesco dell’11 ottobre scorso al
Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione;
l’impegno della Chiesa per l’abolizione della pena capitale in tutto il mondo
ne è invece la conseguenza da trarne sul piano pastorale e politico.
Nel presentare questa decisione c’è stato
un grande scrupolo a dire che questo non è un cambiamento di dottrina, perché
la Chiesa è sempre stata per la vita, e questo è vero; ma hanno ragione gli
avversari di ogni cambiamento a protestare che qui è proprio la dottrina a essere mutata,
perché era proprio con argomenti di dottrina che la pena di morte, sia pure con
crescenti restrizioni e distinguo, era stata fin qui ammessa. Ma proprio qui
sta la grandezza di questo evento per la Chiesa; papa Francesco, appellandosi
all’autorità del Concilio e di Giovanni XXIII, e dello stesso Giovanni Paolo
II, l’aveva anticipato e motivato in
quel discorso dell’11 ottobre, quando aveva detto che “la Parola di Dio non può
essere conservata in naftalina”, che vi sono novità del Vangelo di Cristo che
“non sono ancora venute alla luce”, e che non si deve “umiliare l’azione dello
Spirito Santo” mettendolo a tacere quando “non cessa di parlare anche oggi”.
E proprio qui sta l’importanza
dell’evento. Ricordarsi che nel Vangelo non tutto è stato scritto, perché anzi,
come dice l’evangelista Giovanni alla fine del suo, se fossero scritte tutte le cose compiute da Gesù, “il mondo
stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere”; e ci
sono cose che Pietro stesso non aveva capito nemmeno quando aveva Gesù
ai suoi piedi che glieli lavava, e che capirà solo dopo, non l’indomani, perché
anzi l’indomani lo tradirà, ma nei secoli futuri. Ed è gran cosa che Pietro
abbia capito adesso (e altre cose si potranno capire in futuro) che la pena di
morte non ci deve stare nel Catechismo, e ha deciso di toglierla, perché alla fine dove non è
arrivato l’incivilimento, arrivi il Vangelo. Perché l’altro aspetto pregnante
di questa novità è la sua motivazione, che è una motivazione antropologica: ed è che nessuna persona perde la sua dignità
neanche dopo aver commesso crimini gravissimi.
Il problema politico di oggi (per cui ne
va della stessa salvezza della terra) sta nel fatto che la politica, e la
cultura che la genera, non sanno più che cosa sia “l’uomo”: la vecchia
antropologia, che pur è stata capace di grandi riuscite, è finita, e non si sa
più concepirne una nuova: questa confusione di lingue su che fare dei profughi,
dei poveri, degli scarti, degli esuberi, perfino dei pensionati, lo dimostra.
Quello che forse ci sta dicendo papa Francesco è che, dopo aver riaperto, come
lui ha fatto, la questione di Dio, bisogna ora riaprire la questione dell’uomo.
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