di Raniero La Valle
La giornata mondiale degli “indignati” ha il significato di un passaggio di fase, come quello del 9 novembre 1989, quando fu aperto il muro di Berlino.
Infatti, come l’evento dell’89 diede il via alla globalizzazione di un capitalismo selvaggio, così le mille piazze del 15 ottobre, fino alla follia delle violenze squadriste di Roma, hanno rivelato una coscienza universale e diffusa dell’iniquità e della non ulteriore tollerabilità di tale sistema.
Al confronto l’analisi di Marx era certamente più scientifica, ma la sua ricezione nella consapevolezza comune era ben più ristretta delle dimensioni raggiunte oggi dalla protesta delle vittime del sistema, a cui sorprendentemente hanno dato sponda – e non è per niente una contraddizione – non pochi responsabili di questo stesso sistema, come grandi banchieri, grandi ricchi e grandi opinionisti e maestri di pensiero “borghesi”.
Ciò che tutti ha accomunato, piazze e curie, è la percezione che qui ne va della pace, della giustizia e della salvaguardia del creato, per riprendere le tre grandi parole di un recente cammino ecumenico di tutte le Chiese cristiane.
Per una singolare coincidenza l’incontro del “forum” dei cattolici di Todi, volto a rilanciare, su impulso dei vertici della Chiesa, una presenza politica dei cattolici in Italia, si è svolto all’indomani della giornata del 15 ottobre, e perciò avrebbe potuto prendere a tema e dare una prima risposta all’esplosione di questa domanda di un cambiamento globale.
Di per sé, l’iniziativa della CEI di rilanciare un protagonismo politico dei cattolici è positiva, perché indica che la Chiesa non vuole più affidarsi a una “potestas directa” sul potere politico, come ha fatto in questi anni finendo per trovarsi coinvolta nel discredito del peggiore e più immorale governo della Repubblica, ma intende riattivare una mediazione laicale, che almeno formalmente la metta al riparo da confusioni col potere, e soprattutto con “poteri ridenti ma disumani”, come li ha chiamati il cardinale Bagnasco.
Ciò la Chiesa può fare o dando credito alla libera iniziativa, all’ispirazione cristiana e al pluralismo di diverse forme di presenza dei cattolici (ma allora dovrebbe favorire assetti istituzionali non bipolari e maggioritari, ma parlamentari e proporzionali) oppure vagheggiando una aggregazione comune di tutti i fedeli, salva poi la questione ulteriore se ciò debba concretarsi in un partito politico o in un soggetto di diversa natura, ma pur sempre finalizzato all’azione politica. Sembra che l’orientamento di Todi sia quest’ultimo, perché tutti hanno parlato di creare “un punto di riferimento unitario” per l’azione politica dei cattolici.
Ma per fare cosa?
Se deve essere “unitario” il contenuto unificante non potrebbe che essere il Vangelo.
Se così fosse sarebbe una festa per gli otto milioni e mezzo di poveri che secondo l’ISTAT ci sono in Italia, per i giovani del Sud che non hanno né troveranno lavoro, per i profughi respinti e naufraghi nel Mediterraneo o incarcerati nei centri di raccolta o costretti alla clandestinità, per tutti gli ultimi e anche i penultimi che come tali non hanno né parte né sorte in una società che si vuole “meritocratica”, per gli assetati di giustizia che onorano e non infirmano i giudici, per quelli che pagano il tributo a Cesare, mentre questi lo condona ai ricchi, per i pacifisti che non vogliono le guerre e per tanti altri che da un Vangelo non tradito dalla politica trarrebbero ragioni di vita e perciò, se una grande forza attuasse quel Vangelo, avrebbero salvezza.
A questa ipotesi unitaria fa ostacolo però il fatto che molti cattolici non sono affatto d’accordo su queste cose, tant’è che difendono il sistema che fa otto milioni di poveri, fanno le leggi che uccidono i profughi, sostengono il governo che odia i giudici e compiace gli evasori, invocano una società meritocratica, considerano giuste le guerre fatte dai nostri ragazzi, e al bene comune preferiscono un’Italia divisa tra amici e nemici.
Non dandosi un’unità su queste cose, considerate opinabili, resterebbero come obbliganti per tutti le cose dette “non negoziabili” che, nelle parole introduttive del cardinale Bagnasco, si riducono a tre: inizio e fine vita, matrimonio, scuola libera in libera fede; queste tre cose, si spiega, sono sorgenti dell’uomo, e quindi a partire da questi temi tutto il resto deriva.
La domanda è se vi siano qui criteri sufficienti per giudicare “tutta” la politica, e se i cattolici, pur di essere uniti, potrebbero appagarsi di fare solo questo. Ad esempio, con questo solo metro di giudizio, Obama non dovrebbe essere presidente degli Stati Uniti, e infatti i vescovi provarono a impedirlo, come già avevano fatto fallire la candidatura di Kerry contro Bush.
La domanda inoltre, ammesso che queste cose bastino a fare l’unità dei cattolici, è se poi i cattolici stessi non dovrebbero negoziare, volendo stare nello spazio della politica, i diversi modi in cui quei principi inviolabili possano essere tradotti nella legislazione concreta.
L’ ipotesi “unitaria” di Todi deve misurarsi con queste domande. Se non ci saranno risposte soddisfacenti, non ha futuro.
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