lunedì 23 gennaio 2012

Appello ai Parlamentari sulla revisione dell'art. 81 della Costituzione

Ai Parlamentari della Repubblica italiana
REVISIONE DELL’ART. 81 COST.
Cara On. Senatrice
Caro On. Senatore
Cara On. Deputata
Caro On. Deputato
Consentite alle cittadine e ai cittadini di pronunciarsi.
Come sai il Parlamento si accinge ad approvare in seconda lettura un progetto di legge costituzionale per la revisione dell’art. 81 al fine di vincolare l’ordinamento italiano al rispetto di parametri macroeconomici fissi, in particolare proibendo – salvo rare eccezioni e imponendo una procedura aggravata – il ricorso all’indebitamento quale strumento di politica economica. Queste misure sono asseritamente il frutto degli impegni assunti in sede europea al fine del coordinamento delle finanze pubbliche dei Paesi aderenti all’Euro, a fronte dell’attuale grave crisi finanziaria.
Nessuno dubita della necessità di garantire una finanza pubblica in equilibrio, né dell’importanza di
politiche congiunturali di riduzione del debito pubblico accumulato negli anni, né di assicurare a regime un debito pubblicosostenibile in riferimento agli altri fondamentali indicatori economici. Tuttavia riteniamo che alcune delle misure in via di introduzione addirittura nel testo della Costituzione possano rappresentare un azzardo e che, comunque, meriterebbero di essere portate all’attenzione dell’opinione pubblica. Una così radicale incisione sullo Stato sociale, infatti, non potrebbe avvenire all’insaputa dei cittadini, laddove l’entrata in vigore di alcune di queste disposizioni produrranno il venir meno di ogni potere discrezionale del Parlamento nella elaborazione e nella gestione in futuro delle scelte di politica economica.
Riteniamo opportuno, pertanto, sollecitare una più aperta discussione in Parlamento e nella società civile, a partire da queste poche considerazioni critiche, invitandoti a riflettere – se non addirittura sulla desistenza dalla partecipazione all’approvazione di questo poco meditato progetto – sulla praticabilità di una scelta che consenta almeno il ricorso ad un referendum approvativo ai sensi dell’art. 138, secondo comma, Cost.
Senza tacer del fatto che la scelta di inserire in Costituzione un’opzione così radicale è oggi messa in discussione dallo stesso Parlamento europeo, e viene oramai assunta come meramente facoltativa anche in sede di negoziato tra gli Stati appartenenti all’Eurogruppo –ritenendosi sufficiente l’introduzione di analoghe disposizioni mediante legge ordinaria – ti invitiamo a riflettere su alcune cautele che forse meriterebbero una più attenta considerazione critica.
Il progetto di revisione costituzionale introduce, nel secondo comma dell’art. 81, la seguente previsione: “Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali”. Il successivo art. 5, comma 1, lett. d) del progetto di riforma, qualifica tali “eventi eccezionali” come: “gravi recessioni economiche, crisi finanziarie e gravi calamità naturali”.
1) Innanzi tutto potrebbe non risultare chiaro se per “indebitamento” debba intendersi il ricorso al debito pubblico o il ricorso al deficit, secondo la più diffusa terminologia economica;
2) Non è chiaro cosa significhi l’espressione, che si badi bene viene ad essere inserita in Costituzione, “al fine di considerare gli effetti del ciclo economico”. Qual è infatti la portata prescrittiva di questa formula?
3) La garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali” non sarebbe più costituzionalmente dovuta, ma meramente condizionata (art. 5, comma 1, lett. g) del progetto).
4) Ma, soprattutto, può davvero immaginarsi la sopravvivenza di una politica economica purchessia a fronte di tali divieti, costruiti come vincoli rigidi a tal punto da poter essere aggirati, solo nei casi eccezionali previamente declinati, e soltanto a mezzo di politiche “di unità nazionale” rimanendo, oltretutto, perpetui e stabili nel tempo?
La cosa paradossale è che questo progetto di riforma, acriticamente approvato senza una effettiva e matura discussione, consolida sotto forma di prescrizioni costituzionali i dettami di una teoria economica neanche condivisa da tutti gli studiosi e spesso, di fatto, smentita dalla storia, imponendo ai Parlamenti ed ai governi futuri dogmi ideologici sotto forma di prescrizioni costituzionali vincolanti. Essa si basa sull’assunto dell’inefficacia delle politiche pubbliche discrezionali, imponendo un primato di norme giuridiche vincolanti, scritte al fine di costringere i politici al perseguimento di una determinata politica pubblica. Ma come si fa a determinare questa opzione politica se la scienza economica non ha neanche raggiunto un consenso intorno a concetti fondamentali come il “livello sostenibile di debito” o il “livello ottimale di inflazione”? Si rischia di imporre costituzionalmente una scelta contraria al principio di realtà (davvero i futuri governi potranno rinunciare a interventi discrezionali di politica economica?) i cui presupposti non sono affatto empiricamente verificati.
Sembra quasi che l’attuale Parlamento sia stato costretto alla scelta di un’opzione ideologica, imposta a causa dell’attuale congiuntura economica internazionale e che potrebbe fondarsi su presupposti accademicamente erronei, in virtù del presupposto secondo cui la classe politica si è rivelata al di sotto delle aspettative degli elettori e dei compiti cui potrà essere chiamata in futuro. Il pareggio del bilancio potrà azzerare il rapporto debito/Pil soltanto nel lungo periodo; le più consistenti misure di finanza pubblica necessarie ad un più rapido rientro del debito continueranno quindi a dover essere adottate con legge ordinaria. I nuovi vincoli costituzionali di bilancio potrebbero, però, comportare il rischio di limitare grossolanamente l’intervento pubblico nell’economia, riducendone le capacità di finanziamento ed eliminando la possibilità per lo Stato di farsi, anche solo occasionalmente, intermediario finanziario, “togliendo di mezzo quella forma di investimento finanziario risk free (almeno, finché gli Stati non devono salvare la banche private) costituita dai titoli di Stato”.
La gravità delle scelte implicate da questa riforma costituzionale, che oltretutto sottrarrà ai futuri governi italiani un importante strumento di negoziato di politica economica in sede europea, impone che nel Paese si apra una discussione pubblica a tutto tondo, perché i cittadini siano messi in condizione di esprimersi consapevolmente sul cambiamento della forma di Stato che si va progettando.
Per questo ti invitiamo ad assumere un atteggiamento parlamentare idoneo a offrire ai soggetti a ciò legittimati l’opportunità di promuovere un referendum costituzionale che consenta la più ampia partecipazione critica alla determinazione di scelte così fondamentali per il futuro politico del Paese.
Prof. Gianni Ferrara
Presidente dell’Associazione per la Democrazia costituzionale
Roma, 23 gennaio 2012

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