di Raniero La Valle
Stando a quanto scrive il
supplemento “Affari e Finanza” della Repubblica,
l’Unione Monetaria Europea, secondo la visione che ne hanno Francoforte e
Berlino, sarebbe composta di Paesi virtuosi e peccatori. La virtù consisterebbe
nell’accettare la concorrenza dei Paesi emergenti ricchi di sviluppo e poveri
di diritti, e perciò nel “ridurre in maniera sostanziale alcune conquiste della
civiltà europea degli ultimi 50 anni, per riuscire ad affrontare e battere i
nuovi concorrenti”. La Germania e altri Paesi del Nord-Europa praticano questa
virtù, noi invece siamo i peccatori.
Mai il baratto tra civiltà e
profitti era stato espresso con tanta chiarezza. Vero è che La Repubblica attribuisce questo
pensiero a Mario Draghi, che lo avrebbe sostenuto nel suo recente discorso alla
Luiss, ma questo Draghi non lo ha detto. Vuol dire però che questa idea di
buttare a mare i diritti a vantaggio della competitività sta nell’aria, e la si
dà come scontata anche quando non viene espressa, scambiando magari Draghi con
Marchionne.
Però questa idea non è affatto
scontata, e non si può tanto facilmente realizzare. Qualcosa le resiste; e ciò
che si mette di mezzo dando forza a questa resistenza è la Costituzione. È lì
infatti che sono riconosciute e custodite quelle “conquiste della civiltà
europea degli ultimi cinquant’anni” che si dovrebbero licenziare.
È per questo che da vent’anni si sta cercando in Italia di
mandare gambe all’aria la Costituzione. La destra al potere, nelle sue varie
articolazioni interne ed esterne ai partiti, ancora non c’è riuscita, però è
riuscita a creare un senso comune secondo il quale, siccome la politica non
funziona e la “casta” è costosa e corrotta, bisogna fare ormai subito, prima
che Napolitano se ne vada e la “pacificazione” svanisca, le “riforme
istituzionali”, le quali nelle sue brame significano governo forte,
maggioritario rafforzato, meno parlamentari tra i piedi e presidenzialismo.
Questo compito di riforma
istituzionale sembra ormai l’unico a cui possa votarsi il governo Letta, dato
che le altre cose non le può fare, i soldi per il lavoro e per lo sviluppo non
ci sono, e quei pochi che ci sono servono per togliere l’IMU, l’ultima arma di
distrazione di massa. Né d’altra parte la destra al governo accetterebbe mai
che i soldi si trovassero attraverso una seria redistribuzione del reddito (e
questa sì, è una cosa che anche Draghi raccomanda).
Non resta dunque che la riforma
della Costituzione. Però non sanno come si fa. Prima hanno parlato di una Convenzione
che – neanche fossimo nella Francia giacobina – vi avrebbe dovuto in tutta
fretta provvedere, e che Berlusconi ritenendosi, e non tanto per celia, “il più
bravo di tutti”, avrebbe voluto presiedere. Poi i saggi nominati dal Presidente
della Repubblica optarono per una “Commissione redigente” di parlamentari e non
parlamentari che avrebbe dovuto presentare la focaccia bella e fatta al
Parlamento, e qui ci fu l’opinione dissenziente di Valerio Onida, che denunziò
il rischio che, fuori dalle procedure previste dalla Carta, si innescasse “un
processo ‘costituente’ suscettibile di travolgere l’intera Costituzione” che
può essere opportuno modificare in punti specifici mantenendo però “fermi i
suoi principi, la sua stabilità e il suo impianto complessivo”. Poi il governo
promise incautamente di portare a buon punto il processo di riforma entro cento
giorni, altrimenti se ne sarebbe andato, ma a quel punto l’idea della
Convenzione da presiedere fu abbandonata dallo stesso Berlusconi; e infine dopo
il ritiro in abbazia, il governo ha deciso di affidare il compito “redigente”
alle due commissioni per gli affari costituzionali congiunte di Camera e
Senato, assistite da una Commissione di esperti esterni; in tal modo la riforma
costituzionale tornerebbe in qualche modo in Parlamento, ma nel palazzo, non in
aula: perché resterebbe il fatto che il Parlamento dovrebbe prendere o lasciare
il pacchetto di riforme che gli venisse presentato, senza possibilità né di
scegliere tra di esse, né di presentare e votare emendamenti sul nuovo
ordinamento costituzionale proposto.
Ciò è del tutto fuori e contro la
Costituzione, e va fermamente combattuto. C’è da aggiungere che se alla
Costituente si fosse lasciato fare tutto alla Commissione dei Settantacinque,
senza possibilità di modifiche in aula, alcune delle cose più belle della
Costituzione non ci sarebbero, perché furono introdotte per via di emendamenti
in assemblea: a cominciare dal primo articolo che definisce la Repubblica come
“fondata sul lavoro” (emendamento Fanfani, Grassi, Moro, Tosato) e dall’art. 3
dove all’eguaglianza di principio di tutti i cittadini si aggiunse che
eguaglianza, libertà e sviluppo della persona devono essere realizzati “di
fatto”, e che perciò è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che “di
fatto” li limitano e li impediscono (emendamenti Teresa Mattei, Amendola,
Iotti, Fanfani, Moro, Tosato).
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