di Raniero La Valle
Conclusa la prima fase del Sinodo
dei vescovi, la Chiesa è rimasta in stato sinodale, e vi resterà, nella
riflessione e nella consultazione, fino alla sessione conclusiva del Sinodo,
quella deliberativa, che si celebrerà nell’ottobre dell’anno prossimo.
È da presumere però che anche
dopo l’assemblea dell’anno prossimo la Chiesa cattolica resterà in stato
sinodale: sia perché le materie affrontate (che, attraverso l’ottica della
famiglia, investono in realtà l’intera condizione della vita cristiana) non
potranno considerarsi esaurite o regolate una volta per tutte con le prossime
deliberazioni, sia perché l’azione di papa Francesco ha già modificato
profondamente l’istituzione sinodale, trasformandola da riunione periodica e
autoreferenziale di vescovi a una modalità permanente della vita e del governo
della Chiesa.
Francesco aveva espresso questa
intenzione già prima dell’assemblea di ottobre, quando l’8 aprile del 2014
aveva scritto una lettera, inaspettatamente solenne, al Segretario generale del
Sinodo, cardinale Baldisseri, per informarlo di aver deciso di fare vescovo il
sotto-segretario del Sinodo, don Fabio
Fabene; e la motivazione era di mettere in evidenza lo “scopo
precipuo” del Sinodo dei vescovi “che consiste nella comunione affettiva ed
effettiva” dei vescovi tra loro e col papa, ai fini di una partecipazione dei
vescovi “alla sollecitudine del Vescovo di Roma per la Chiesa Universale”.
Per “rispecchiare” questa comunione affettiva ed effettiva era necessario
pertanto che quel prelato di curia messo al servizio del Sinodo fosse investito
dell’ordine episcopale: dunque non solo un’investitura burocratica, ma una
legittimazione sacramentale. E questa era l’occasione per il papa per
manifestare le sue intenzioni riguardo al futuro e alla finalità stessa del
Sinodo: “La larghezza e la profondità dell’obiettivo dato all’istituzione
sinodale derivano dall’ampiezza inesauribile del mistero e dell’orizzonte della
Chiesa di Dio, che è comunione e missione. Perciò si possono e si devono cercare
forme sempre più profonde e autentiche dell’esercizio della collegialità
sinodale”.
Una rifondazione del Sinodo
Nella lettera Francesco ricordava
che era stato Paolo VI a istituire il Sinodo nel 1965 “dopo aver scrutato attentamente
i segni dei tempi”, e scriveva: “Trascorsi quasi cinquant’anni, avendo anch’io
perscrutato i segni dei tempi e nella consapevolezza che per l’esercizio del
mio Ministero Petrino serve, quanto mai, ravvivare ancora di più lo stretto
legame con tutti i Pastori della Chiesa, desidero valorizzare questa preziosa
eredità conciliare”: Dunque si trattava di una sorta di nuova istituzione del
Sinodo, di una rifondazione, dopo cinquant’anni di stallo e ripartendo
direttamente dal Concilio. E qui veniva forse pure una risposta a quella
domanda cruciale con cui il papa aveva in qualche modo inaugurato il suo
pontificato, la domanda con cui si era rivelato al mondo come un papa non convenzionale:
“Chi sono io per giudicare?”. E la risposta era che neanche il papa può
giudicare da solo: «Non v’è dubbio che il Vescovo di Roma abbia bisogno della
presenza dei suoi confratelli Vescovi, del loro consiglio e della loro prudenza
ed esperienza. Il successore di
Pietro deve sì proclamare a tutti chi è “il Cristo, il Figlio del Dio vivente”
ma, in pari tempo, deve prestare attenzione a ciò che lo Spirito Santo suscita
sulle labbra di quanti, accogliendo la parola di Gesù che dichiara: “Tu sei
Pietro….” partecipano a pieno titolo al Collegio Apostolico».
Continua...