(Raniero La Valle)
IL SENATO: DA ENTE
INUTILE A ENTE PERICOLOSO?
La decapitazione del
Parlamento
Pubblichiamo il testo
dell’audizione di Raniero
La Valle, presidente dei Comitati Dossetti per
la Costituzione, presso la I
Commissione Affari Costituzionali della
Camera dei Deputati, il 20 ottobre 2014, in occasione dell’inizio del dibattito
della Camera sulle riforme costituzionali
Grazie al presidente Sisto e ai colleghi deputati per questo
invito.
Credo che la cosa più utile che io possa fare sia di farvi
conoscere le reazioni alla riforma costituzionale che si sono manifestate in
quell’ area di opinione del Paese che si riconosce o è in sintonia con le
posizioni espresse dai Comitati Dossetti per
la Costituzione di cui io sono il presidente eletto.
Dico, per i colleghi più giovani,
che Giuseppe Dossetti
è stato un grande costituente, uno dei principali ispiratori della Costituzione
e di molti suoi articoli. Per lui la Costituzione non era semplicemente una legge
per così dire rinforzata, era un patto non solo politico ma morale tra i
cittadini e lo Stato, tra il popolo e le istituzioni; la Costituzione era un
bene comune ed era così importante per lui che la mise perfino sopra la sua
successiva scelta di vita monastica, tanto che quando la Costituzione fu in
pericolo scese dal suo eremo per tornare nella città, nella politica, per
difenderla; e ai giovani a cui cercava di insegnare la vita cristiana disse un
giorno che se avessero fatto cilecca con i dieci comandamenti, sarebbe già
stato molto se fossero rimasti fedeli ai valori della Costituzione.
Moltissima gente in Italia la
pensa così. Molti si sono accorti che la Costituzione è l’unica cosa che ha
tenuto nella tempesta, che li ha salvati quando ci sono stati tentativi di
golpe, stragi di Stato, carabinieri e guardie di finanza infedeli, terrorismo,
Brigate Rosse, lo schianto del sistema politico e dei partiti. La Costituzione
è stata quella che ha tenuto in piedi lo Stato, ha mantenuto l’unità del Paese,
ha sconfitto la violenza, non solo per l’efficacia delle sue norme, ma per il
suo straordinario prestigio, per la persuasività della sua visione dei diritti
e dei doveri, per il consenso di massa di cui ha goduto e per l’onore con cui
si è stati convinti che dovesse essere trattata. Questo patrimonio può
rapidamente andare perduto. Perciò il problema non è stato mai se essa potesse
essere modificata o no, perché è chiaro che poteva esserlo, il problema era del
modo di farlo, era l’attenzione, la delicatezza, la cura con cui la
Costituzione dovesse essere maneggiata anche nei processi delle sue eventuali
modifiche. Quello che ora è successo è che questa complicità virtuosa con la
Costituzione si è rotta, che questo riguardo è venuto meno.
Perciò la critica che è stata
sollevata contro questa riforma prima ancora che sul merito è stata sul metodo.
E’ sembrato che la riforma, subito volgarizzata come diretta all’abolizione del
Senato, venisse intrapresa non per una vera necessità, ma per fini ad essa
estranei, che venisse usata come strumento per qualche altra cosa, come mezzo
di una lotta per il potere, come una grammatica per un’altra scrittura. È
sembrato quindi che essa fosse maltrattata e che dopo, quale che fosse stato il
punto d’arrivo, essa non sarebbe stata più autorevole, non sarebbe stata più
credibile. Ha scandalizzato la fretta, e ha scandalizzato il piglio autoritario
con cui si è preteso di raggiungere il risultato voluto. Se si deve togliere il
Senato entro l’8 agosto bisognerebbe poter dimostrare che questo serve al vero
bene della Repubblica, non per fare un inchino al presidente del Consiglio,
perché se no c’è il rischio di finire come la Costa Concordia.
Se questo è il disagio che si è potuto avvertire
sul piano generale, vi sono poi dei punti specifici di preoccupazione che
vorrei brevemente illustrare.
1) Il primo riguarda la
consapevolezza, da tutti condivisa, che lo Stato si trova nel vortice di grandi
mutamenti. Cambia la sovranità, la moneta, lo statuto del lavoro, l’industria,
il clima, la guerra.
Nessuno sa dove si andrà a finire. L’assetto costituzionale
che ha retto finora può rappresentare l’unico punto di stabilità, di
rassicurazione, può rappresentare, per un Paese stressato, l’unica incognita
che non si apre. Cominciare la riforma dalla decapitazione del sovrano,
dimezzando il Parlamento, è imprudente, semmai è una cosa da fare alla fine,
non all’inizio del processo riformatore.
2) La seconda osservazione
riguarda l’argomento secondo il quale da molti anni si sta tentando, senza
riuscirci, di riformare la
Costituzione. Ciò sarebbe frustrante. Ma non si tiene conto
del fatto che si tratta di una riforma che è sempre venuta dal Palazzo, e per
nulla sentita dal popolo. Addirittura essa è partita nel 1991 dal palazzo del
Quirinale, quando il primo picconatore, Cossiga, mandò al Parlamento un
messaggio, senza neanche la firma del presidente del consiglio, in cui
dichiarava obsoleta, dopo la fine del muro di Berlino, la Costituzione del 48.
Si è poi sempre avuta l’impressione che la destrutturazione del rapporto tra i
poteri stabilito dalla Costituzione, fosse un interesse della classe politica,
degli esecutivi, non del popolo. Altre sono le riforme volute dai cittadini. Essi
sono riusciti a fare una riforma costituzionale, quando praticando in massa
l’obiezione di coscienza, hanno fatto cadere il servizio militare obbligatorio
previsto dall’art. 52 della Costituzione. E oggi sollecitano una riforma che vada
ad incidere sull’art. 49 della Costituzione, perché non riconoscono più la capacità
dei partiti di far sì che i cittadini concorrano a determinare la politica
nazionale; questo rinnovamento dei partiti i cittadini mostrano di pretenderlo
sia che come iscritti abbandonino in massa i partiti, sia che passino ai
movimenti, sia che si volgano all’astensione elettorale e all’assenteismo
politico. Ma così vengono meno gli strumenti stessi della politica. Perciò la
prima riforma veramente necessaria sarebbe una legge di attuazione dell’art. 49
della Costituzione che garantisca la trasparenza e la democrazia interna dei
partiti, li metta al riparo dalle catture di agenti esterni e con opportune
incompatibilità tra cariche di partito e cariche pubbliche ne faccia organi
della società e non dello Stato.
3) Un’altra cosa che ha
fortemente allarmato l’area di opinione di cui sto parlando, è stata la
sentenza della Corte costituzionale che ha insinuato il dubbio che questo
Parlamento, essendo stato eletto con una legge incostituzionale che ha prodotto
“un’illimitata compressione della rappresentatività dell’assemblea
parlamentare” non sarebbe idoneo alle “delicate funzioni connesse alla garanzia
della Costituzione”, e quindi nemmeno a quelle di una revisione costituzionale.
Ciò lascerebbe sulla Costituzione riformata la ferita di una mancanza di legittimazione.
Ma al di là di questo molti cittadini sono stati colpiti dal fatto che la
riforma in corso si è mostrata priva della maggioranza in Parlamento; infatti al Senato
tutti i voti per i quali è stato concesso lo scrutinio segreto hanno fatto risultare la riforma in
minoranza, e nel voto sul Jobs Act, 51
oppositori non hanno partecipato al voto mentre alcuni della maggioranza hanno
dichiarato di aver votato a favore per
ragioni di partito ma contro scienza e coscienza.
4) Nel merito della riforma del
Senato io posso solo dire
che nella mia esperienza in molte occasioni l’apporto del
Senato al processo legislativo è stato determinante e prezioso. Si può
benissimo far uscire il Senato dal circuito della fiducia, lasciando questa
alla sola Camera, ma conservarlo come organo della legislazione. La legge 194
sull’aborto non avrebbe superato il vaglio delle sentenze della Corte e dei
referendum popolari se il Senato non avesse cambiato la legge come era uscita
dalla Camera. La Camera legiferando aveva fatto dell’aborto un postulato
ideologico, mentre il Senato ne ha fatto un momento di responsabilità della
donna e della società, mettendo in campo i consultori e provocando lo Stato a
fare politiche di sostegno alla maternità responsabile e all’autodeterminazione
della donna; ne è venuta una legge di cui oggi reclamano una vera applicazione
anche quelli che allora vi si opposero. Così come il Senato ha prodotto quel
modello di civiltà giuridica che è stata la legge Gozzini per il
ritorno di un umanesimo nelle carceri. . Mai ricordo che il Senato ha fatto il ping pong delle leggi
per sport; quella che era in gioco era la qualità della legislazione.
5) Sul Senato come è configurato
dall’attuale riforma resta la gravissima riserva della sua sottrazione al voto
popolare diretto. E dato che al Senato sono rimasti molti poteri di controllo e
di indirizzo politico, con una forte incidenza anche sull’attività
dell’esecutivo nonché su atti o documenti all’esame della Camera, il rischio è
che le responsabilità del governo o di eletti che rappresentano la nazione,
cadano sotto il vaglio e la censura di senatori non eletti che per Costituzione
dovrebbero non rappresentare la nazione. Così
il Senato che all’inizio era stato considerato come un Ente inutile, diventerebbe
un Ente dannoso. Inoltre i termini ristrettissimi (in taluni casi 5 giorni)
entro i quali il Senato potrebbe esercitare la sua facoltà di richiamare le
leggi approvate dalla Camera, dovrebbero costringere i senatori a stare sempre a Roma, disertando così i loro
compiti negli Enti locali. E c’è pure
l’aporia che si può essere senatori a 18 anni, mentre per essere deputati ce ne
vogliono 25. Altre gravi contraddizioni sono messe in luce dal dossier del
Servizio Studi di questa Commissione.
Se si restituisse al Senato la
sua caratteristica di camera elettiva a suffragio universale e diretto, senza
sbarramenti e premi di maggioranza, esso, al di fuori del rapporto di fiducia e
quindi in condizione di reciproca indipendenza col governo, potrebbe assolvere
un ruolo di garanzia e adempiere tra l’altro a compiti di alta legislazione
(leggi organiche, codici, testi unici) per riportare ordine nella giungla
legislativa italiana; e se si abolisse l’incompatibilità tra le cariche negli
Enti locali e l’elezione al Senato, si potrebbe per altra via fare del Senato
una larga espressione delle classi dirigenti locali, facendogli adempiere anche
in questo modo alla funzione di maggiore raccordo tra lo Stato e le regioni.
6) Ancora una notazione riguarda la gratuità. Va
benissimo non dare un’indennità ai senatori, soprattutto se pagati da un altro
Ente. Però la gratuità è un valore positivo, non può essere né una punizione né
un ingrediente di un populismo demagogico. Così il valore della gratuità è
offuscato. Se ne potrebbe lasciare la scelta agli stessi senatori: chi avesse
altre risorse potrebbe optare per la gratuità, chi avesse bisogno di un
compenso per il suo lavoro dovrebbe avere il diritto, e perfino il dovere, di
pretenderlo.
7) Infine la cosa più grave. Il
Senato, che pure dovrebbe raccordarsi con l’Europa, che pure dovrebbe esprimere
direttamente i territori, sarebbe escluso dalla decisione sullo stato di
guerra. Questa diverrebbe un affare interno tra il governo e la sua maggioranza,
peraltro costruita col sistema maggioritario. E qui si rivela la verità ultima
della cosiddetta governabilità. Il risultato non è che il governo possa meglio governare
il Paese, ma che possa farne quello che vuole portandolo perfino alla guerra. Invece
in tutti i Paesi europei dove ci sono le due Camere, tutte e due sono coinvolte
nella dichiarazione dello stato di guerra.
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