venerdì 17 marzo 2017

- Dopo le elezioni olandesi - IL POPOLO C'E. AVANTI I LEADERS



Le scelte degli elettorati sono volte a conservare le conquiste della modernità. I popoli sarebbero pronti a seguire leadership che riaprano la strada del progresso storico
di Raniero La Valle

                                                               

La sconfitta della destra xenofoba e razzista nelle elezioni legislative del 15 marzo in Olanda è una buona notizia sullo stato del mondo. Contro catastrofici sondaggi e previsioni, le pulsioni regressive rispetto ai valori della modernità hanno coinvolto una parte minoritaria, il 12 per cento, dell’elettorato di quel Paese. Ciò vuol dire che la post-modernità, intesa come un rovesciamento delle conquiste del Novecento [1], non è affatto una condizione comune della cultura di oggi, ma ne è una deriva o una tentazione ancora circoscritta.

Ciò appare chiaro se si confronta questo evento elettorale con altri, taluni apparentemente contraddittori, che lo hanno preceduto. Tutti infatti, se li si sa leggere, mostrano un buono stato di salute degli elettorati, i quali non sembrano affatto vittime dei deprecati populismi, ma piuttosto tesi a salvaguardare o a ripristinare proprio le grandi conquiste politiche e civili della modernità, che oggi un potere economico selvaggio e classi dirigenti mediocri o deviate stanno compromettendo.
Il risultato olandese in questo senso è eloquente: esso significa che la maggioranza del popolo non è affatto d’accordo con i muri, i reticolati, le detenzioni e le espulsioni degli immigrati. È la stessa cosa che hanno dimostrato i volontari austriaci e tedeschi che corsero al confine ungherese per soccorrere i profughi bloccati e portarseli con sé. È la stessa cosa che traspare dalle sofferte posizioni assunte dalla Merkel in Germania. È la stessa cosa che si manifesta nello spirito e nelle pratiche d’accoglienza di tanti italiani e che invece grida nelle proteste contro le ultime politiche repressive instaurate dal ministro Minniti e gli accordi efferati stipulati dal governo con la Libia.

Ma dove  il risultato elettorale olandese suona come una conferma dello stato di salute dei popoli, è proprio nel confronto con altre pur discusse elezioni.
È ovvio qui il richiamo al felice risultato del referendum italiano nel quale, respingendo le puerili trovate di Renzi, gli elettori hanno rivendicato il valore di una Costituzione accusata di essere vecchia di settant’anni e tormentata da disperati tentativi di restauro almeno da venti.

La Brexit

Meno ovvio è il paragone con il voto con cui gli Inglesi hanno scelto l’uscita dall’Europa. Si tratta di un risultato da molti giustamente considerato negativo, quanto alle sue conseguenze. Ma quanto all’elettorato che lo ha prodotto, esso ha mostrato una razionalità straordinaria, proprio in coerenza con lo stato di civiltà politica a cui in precedenza si era pervenuti. Una delle conquiste politiche e giuridiche più alte della modernità (e per primi proprio degli Inglesi) era stata l’elaborazione e l’attuazione del principio che ogni potere, per non essere prevaricante e al limite totalitario, ha bisogno di un contropotere. La democrazia è per l’appunto la scoperta che nessun potere (re, primi ministri o banchieri che siano) deve essere solo al comando. La dottrina costituzionale del potere è la dottrina dei limiti, delle garanzie, della pluralità e dell’equilibrio dei poteri. Ora, la globalizzazione capitalistica, così come è stata attuata nell’Unione Europea da Maastricht in poi, non ha affatto tenuto conto di questa concezione moderna e avanzata del potere, non ha previsto e non prevede la divisione dei poteri, lasciando che gli unici potenziali contropoteri siano quelli degli Stati ancora sovrani. Gli Inglesi, indisponibili a soggiacere a poteri senza contropoteri, non trovando o non cercando altra strada, hanno preso la decisione plateale di andarsene. Se non ci sono contropoteri gli unici argini di fronte all’Europa premoderna del potere unico, sono le sovranità: le ideologie sovraniste  prese in mano dalle destre europee sono la spia di questo nodo storico che è venuto al pettine, non sono la proposta di una riscossa politica, sono la denuncia di un’assenza.
Senonché questa reazione di protesta subito dimostra la sua fallacia, tanto è vero  che la Scozia reagisce programmando a sua volta un referendum per uscire dal Regno Unito e restare nell’Unione Europea, cioè per non buttare l’acqua col bambino e restare nella modernità.

Il voto contro la Clinton

Un’analoga lettura positiva si può fare delle intenzioni del voto nelle elezioni americane. Esse hanno prodotto una tragedia, che è la vittoria di Trump. Ma, come poi si è visto, la vera intenzione dell’elettorato nella sua maggioranza non era di promuovere le politiche e i deliri di Trump, ma di bloccare le politiche di Hillary Clinton che, sulla scia delle scelte “post-moderne” della governance americana dal primo Bush in poi, avrebbero spinto verso un’elefantiasi del potere globale, radicalizzato il confronto con la Russia e con la Cina, riattivato la devastazione del Medio Oriente e forse condotto alla guerra o alle guerre.
Il problema è che se gli elettorati, cioè i popoli, sono spinti da motivazioni che anche se istintive od oscure sono in gran parte buone o riconducibili al bene, tese a non perdere le conquiste già fatte e a tenere aperto il cammino della civiltà, le proposte elettorali tra cui essi sono costretti a scegliere sono spesso del tutto inadeguate a interpretare e poi realizzare queste intenzionalità positive, per la mancanza di leadership consapevoli e una generale decadenza o decomposizione delle attuali culture politiche. Di qui scelte temerarie e infauste di molti elettorati o il rifugio micidiale nel non voto. La prossima difficile prova cui sarà sottoposta questa analisi sarà la consultazione per l’elezione presidenziale del 23 aprile e 7 maggio in Francia.    
Però in questo incontro che si realizza nelle urne tra una positività da parte del popolo e una negatività o insufficienza  da parte delle leadership, l’elemento strutturale e duraturo è il primo, mentre le leadership sono contingenti, mutevoli e suscettibili di manifestarsi anche in modi imprevedibili e diversi. In una parola se oggi è difficile affidarsi alle leadership, si può tuttavia aver fiducia nei popoli.
Ciò dipende dal fatto che i popoli hanno un carisma che spesso i loro dirigenti, “i capi delle nazioni” e “i grandi” che le dominano ed esercitano su di esse il potere, come dice Gesù (Mc. 10, 42), non hanno.   
Secondo papa Francesco i popoli sono un “luogo teologico”. Perciò i pastori, i teologi, devono ascoltare il popolo. Come ha detto nel videomessaggio ai teologi riuniti presso l’università cattolica argentina nel settembre 2015: “Le domande del nostro popolo, le sue pene, le sue battaglie, i suoi sogni, le sue lotte, le sue preoccupazioni, possiedono un valore ermeneutico che non possiamo ignorare se vogliamo prendere sul serio il principio dell’incarnazione. Le sue domande ci aiutano a domandarci, i suoi interrogativi c’interrogano. Tutto ciò ci aiuta ad approfondire il mistero della Parola di Dio, Parola che esige e chiede che si dialoghi, che si entri in comunione. Non possiamo quindi ignorare la nostra gente al momento di fare teologia. Il Nostro Dio ha scelto questo cammino. Egli si è incarnato in questo mondo, attraversato da conflitti, ingiustizie, violenze; attraversato da speranze e sogni. Pertanto, non ci resta altro luogo dove cercarlo che questo mondo concreto, questa Argentina concreta, nelle sue strade, nei suoi quartieri, nella sua gente. Lì Egli sta già salvando”[2].
Tutto questo dice che i popoli ci sono, che ancora sono ricchi di potenzialità positive, e se ben rappresentati possono prendere in mano e perseguire i tre grandi obiettivi che sono come le colonne d’Ercole attraverso cui bisogna passare per far ripartire il progresso della civiltà: una vera universalità dei diritti, con il diritto di migrazione e di stabilimento di tutti gli esseri umani in qualsiasi Paese della terra; il definitivo congedo delle religioni dal Dio violento e dei popoli dalle guerre e dalle violenze perpetrare in suo nome; la revoca della sovranità attribuita al denaro (al “capitale”) e la sua restituzione al popolo, unico sovrano, quale che sia il regime economico e sociale da questi prescelto Sono le tre questioni prioritarie, le tre “forze  frenanti” di cui ho parlato nell’articolo: “Il compito della politica? Sbloccare la civiltà”[3].
 Nell’attuale situazione, e per come essa è raccontata dai media, un futuro di questo tipo sembra una favola. Ma sembrava una favola anche l’abolizione della schiavitù, o l’eguaglianza tra uomini e donne, o la teoria della relatività generale, o quella dei quanti, e invece quelle cose si dimostrarono poi le uniche vere.
Così un’umanità unita, con ordinamenti comuni, nonviolenta e in se stessa sovrana può rivelarsi come l’unica vera.
Per passare a questa politica il popolo c’è, i popoli ci sono, dunque che si formino e vengano avanti i leaders.
                                                                                                          Raniero La Valle


[1] Vedi  nel sito Chiesa di tutti Chiesa dei poveri: l’analisi di Giovanni Ferretti, “La cultura nel Concilio e nella Chiesa del Novecento”.
[2] Vedi  nel sito Chiesa di tutti Chiesa dei poveri: “La teologia deve farsi carico dei conflitti. Chi è il teologo? Siamo tutti teologi”.
[3] Vedi  nel sito Chiesa di tutti Chiesa dei poveri: “Il compito della politica? Sbloccare la civiltà”

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