Intervento tenuto il 1
marzo 2017 presso la biblioteca Moby Dick a Roma da Raniero La Valle per la presentazione
del libro “Cronache Ottomane” in cui sono raccolte le corrispondenze da
Costantinopoli di suo padre Renato La Valle.
Benchè per tanto tempo abbia avuto tra le mani questi
articoli da Costantinopoli di mio padre, che leggevo fin da bambino, ogni volta
che prendendo in mano questo libro ne rileggo qualcuno, così come Francesca l’ha
trascritto, ancora mi diverto. Perché pensare al re d’Italia fischiato in un
cinema di Costantinopoli, o al generale italiano Di Robilant che riorganizza la
marina turca, o a mio padre che sfida a duello un generale ottomano, o ai
siciliani cui si dà la colpa della guerra per la Libia, è veramente divertente.
E mi pare che ciò dimostri la qualità di quel giornalismo, che era nello stesso
tempo così leggero e così profondo.
Ma per venire alla sostanza, quello che mi sembra più
interessante, non è tanto vedere le similitudini tra le cose di ieri e quelle
di oggi. Certo le similitudini sono impressionanti: basta pensare alla
riesumazione della figura del Califfo, fatta da Abu-Bakr Al Baghdadi, nell’impossibile
reiterazione di quello che era stato il Sultano ottomano; basta pensare alla Sharia,
che viene invocata oggi come allora quale legge suprema di un ordinamento
islamico; basta pensare al Modello di Difesa con cui l’Italia un secolo dopo
torna sul luogo del delitto e come ieri ebbe il suo battesimo di guerra per la
civiltà conquistando la Tripolitania, così oggi per giustificare il suo
apparato, le sue spese militari e le sue forze armate, dopo la fine del
comunismo, ha ripristinato l’Islam come nemico.
Dunque le similitudini, le analogie, i ricorsi storici ci
sono. Ma proprio nel ricostruire questa continuità, dalla guerra dalla Turchia
ottomana all’attuale proiezione di potenza verso il mondo islamico, si
manifesta oggi uno stacco, una novità che è destinata ad aprire una tutt’altra
storia.
Qual è questa novità inaudita che dovrebbe dare inizio a un’epoca
nuova, a una storia tutta diversa? Questa novità consiste nel fatto che una
guerra religiosa non è più possibile. Che cosa ci sarebbe di più naturale oggi,
quando l’estremismo islamico fattosi Stato minaccia Roma e sfida col terrorismo
l’Occidente, se non essere nel pieno di una guerra religiosa? Se mai una guerra
religiosa potesse essere giustificata, quella di oggi con l’Isis o Daesh lo
sarebbe. Ma invece questa guerra non c’è. E nemmeno Trump riuscirebbe a farla. Forse
poteva riuscirci Bush. Ma Trump non può. Può fare la guerra, ma non una guerra
religiosa. E una guerra religiosa oggi non si può fare perché a Roma c’è una
papa che si chiama Francesco. E non si può fare non perché papa Francesco sia
un pacifista, ma perché papa Francesco ha cambiato l’immagine di Dio nel mondo,
ha tolto ogni legittimità al Dio della guerra, dichiarando – infallibilmente? –
che il Dio della guerra non esiste, ed ha annunciato con autorità non un nuovo
Dio, ma un Dio inedito, un Dio nonviolento, un Dio che, come ha detto domenica
scorsa all’Angelus, è il grande amico, l’alleato, il padre misericordioso, la
causa della nostra pace. Se Dio è così, la guerra religiosa non si può più
fare. Si può fare per il petrolio, per le conquiste, per i mercati, ma non si
può più fare nessuna guerra in nome di Dio e in nome di valori riconducibili a
lui.
Si dirà: però non basta che sia così il Dio dei cristiani,
deve esserlo anche quello degli islamici. Ma infatti è così, come hanno scritto
i maggiori esponenti della Umma islamica proprio al sedicente Califfo Al Baghdadi,
dicendogli che è un gravissimo errore e un’offesa all’Islam farne “una
religione di durezza, brutalità, tortura e assassinio”. E se papa Francesco
parla di un Dio che è tutto misericordia, i leaders della comunità musulmana
dicono che gli inviati di Dio, come il profeta Maometto, sono stati mandati
come “misericordia a tutti i mondi” e non con la spada perché anche se Maometto
la impugnò, in un determinato momento storico, è assolutamente falso che la
misericordia possa essere tributaria della spada.
Perciò si può pensare a un tempo in cui le religioni
continueranno ad essere molte, ma tutte saranno in cammino con lo stesso Dio,
che non potrà più essere il Dio idolatrico della violenza, delle condanne e
della guerra. E non solo la Chiesa sarà in uscita dal suo bozzolo, ma tutte le
religioni saranno in uscita dalle loro strutture scheletrite, dalle loro
armature conniventi col potere, dalle loro proprie forme di cristianità.
Domenica scorsa a Roma si è potuto intravedere un bagliore,
una prefigurazione di questo futuro, quando papa Francesco è andato in visita
alla parrocchia anglicana di Roma dove si è siglato un patto di gemellaggio non
tra le due gerarchie religiose, ma tra le due comunità parrocchiali, cattolica
e anglicana, di “Ognisanti” e “All saints”. Quì, parlando di una cooperazione
tra le missioni anglicana e cattolica presso gli aborigeni nel nord dell’Argentina,
papa Francesco ha detto che la domenica se non c’è l’eucarestia cattolica i
cattolici vanno alla celebrazione anglicana e viceversa, e tutti sono d’accordo
e anche “la Congregazione per la dottrina della fede lo sa”. Si tratta di una
vera e propria legittimazione della “communicatio in sacris”, il che vuol dire
pensare a un mondo in cui diverse forme religiose possono ritrovarsi in un
cammino comune verso un Dio ugualmente compreso.
Queste cronache da Costantinopoli sono quindi tanto più
interessanti in quanto ci restituiscono un passato che per quanto tenti di
riaffacciarsi, non potrà mai più riproporsi nel futuro.
Raniero La Valle
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