Come la storia ha atrocemente dimostrato non basta dirsi
cristiani per esserlo veramente, e nemmeno ebrei, e neanche musulmani. Dire che
il terrorismo non è islamico non è un’informazione, è un antidoto
Raniero La Valle
Un musulmano scrive su “Avvenire” che certo l’Islam c’entra con
i terroristi che si fanno saltare in aria con le loro vittime gridando Allah è
grande. E subito i siti sanfedisti e antipapisti gridano: ecco, vedete, ci
voleva un musulmano per dire quello che il papa e i vescovi continuano a
negare, che l’Islam c’entra, e come, nella violenza dell’ISIS e delle sue
schiere.
Hanno ragione: ha ragione il musulmano che
scrive su “Avvenire” e hanno ragione
i siti integralisti. L’Islam c’entra. Come c’entrava il Dio di Israele, quale
era concepito da Giosuè, quando Giosuè, il
condottiero degli Israeliti usciti miracolosamente dall’Egitto, ordinò
lo sterminio di Gerico, e votò allo sterminio le città di Ai, Makkedà, Libna,
Lachis, Eglon, Ebron, Debir, Asor, non lasciandovi alcun superstite, ne fece
impiccare i re, e quelli che non sterminò, come i Gabaoniti, li ridusse in
schiavitù.
C’entra l’Islam, come
c’entrava il Cristo, quale fu concepito da Costantino, quando per la prima
volta quel Cesare issò la croce come emblema garante di vittoria, in quella che
doveva diventare la madre di tutte le guerre sante cristiane contro il suo
nemico Massenzio (“in hoc signo vinces”).
C’entra l’Islam come c’entrava Dio quando in suo nome i papi che si
proclamavano suoi Vicari in terra indicevano le crociate e facevano strage di
musulmani e di altri innocenti in Terra Santa, così come c’entrava l’ascesi del
mistico san Bernardo quando istruiva tutta la cristianità dicendo che uccidere
un infedele non era un omicidio, ma un “malicidio”; come c’entrava il Dio di
cui pure si enunciava la mitezza nel Vangelo domenicale, quando i vescovi
italiani benedicevano in suo nome i gagliardetti
fascisti che andavano a soggiogare l’Abissinia, non senza ignominie come la
“liquidazione completa” di monaci e pellegrini copti perpetrata
agli ordini di Graziani nel santuario di
Debre Libanos. Per non parlare delle guerre religiose tra i principi cristiani,
della notte di san Bartolomeo, dei roghi dell’Inquisizione e delle esecuzioni
capitali per “squarto” in piazza del Popolo nella Roma pontificia.
Ma proprio per questo hanno
ragione il papa, il nuovo presidente della CEI
Bassetti, l’università Al- Azhar del Cairo, e i grandi leaders musulmani che hanno sconfessato il califfo Abu Bakr al-Baghdadi spiegandogli che non si
può identificare Maometto con la spada;
hanno tutti ragione quando dicono: non è Islam (come non erano Dii o Cristi
quelli invocati per le guerre e per gli stermini).
È chiaro che nel dire: non è
Islam, si dice un dover essere (o meglio un dover non essere), si nega che
corrisponda al vero l’autoidentificazione di chi si qualifica islamico e a
questo titolo violenta e uccide i fratelli; non si sostiene che gli assassini
non si identifichino come islamici, si nega che lo siano. Insomma è una presa
di posizione, non è un’informazione. Possibile che non si capisca? È come nella
vecchia commedia di Eduardo “Natale in casa Cupiello” in cui ostinatamente il
figlio finto ingenuo diceva e ripeteva: il presepio non mi piace. Non è che
negasse il presepio, è che dietro al bel presepio c’era la faccia nascosta della
tragedia.
Così
papa, vescovi e la grande maggioranza dei musulmani dicono dei genocidi che gli
uomini in nero fanno in proprio e mettono in conto ad Allah: non è Allah, non è
Dio, non è l’Islam. E non solo noi, ma il mondo intero deve essere grato a papa
Francesco, alle Chiese e ai saggi della “umma” musulmana che dicono: non è
l’Islam, non è una guerra di religione. Perché se non l’avessero detto, se
dicessero il contrario, la terza guerra mondiale a pezzi sarebbe già diventata
una guerra mondiale intera, e santa di santità opposte, sull’uno e sull’altro
fronte, e Trump avrebbe tutte le sue ragioni per fabbricare, vendere e
scatenare armi dappertutto, non importa se a fare vittime sciite o sunnite o
cristiane o semplicemente credenti nel denaro e nel dollaro.
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