Il caparbio rifiuto europeo di far posto ai profughi e la maldestra
condotta del governo italiano sui migranti (la dottrina Minniti, i
vincoli posti alle operazioni di soccorso, la spedizione delle navi
militari in Libia) hanno innescato una rovinosa deriva dell’opinione
pubblica, sostenuta da una inaudita campagna di stampa contro ogni forma
di accoglienza e di solidarietà. Questa, a ben vedere, al di là del
supposto obiettivo delle ONG, ha di mira il papa che, con i gesti di
Lampedusa e Lesbo, ha squarciato la cortina dell’omertà e ha posto la
questione politica e morale della risposta da dare alla più grande
tragedia del nostro tempo, quella delle migrazioni di massa.
È cominciata da lì la serie degli eventi: prima l’Italia ha avviato
l’operazione “Mare nostrum”, pensando che fosse a buon mercato, poi
Alfano, dopo un anno, l’ha fatta chiudere, i populismi egoisti e
xenofobi si sono scatenati, la stampa e le TV hanno fatto da sponda alla
paura e all’intolleranza, il governo ora passa alle maniere forti,
Renzi e gli altri vecchi politici non pensano se non in termini di
consenso per il potere, ed ecco che quello che stiamo per compiere
prende il suo vero nome: un genocidio. L’esperienza del Novecento ci
dice che dei genocidi è meglio accorgersi prima o nel mentre che si
compiono, piuttosto che commemorarli o negarli dopo.
In che senso l’Europa e l’Italia sono oggi a rischio di perpetrare un
genocidio? Genocidio è una parola che nemmeno esisteva prima della Shoà,
benché molti ce ne fossero stati nella storia. Vuol dire uccidere un
popolo, ma non di una sola nazione, tant’è che gli Ebrei uccisi nei
campi erano di tutte le nazioni. E non vuol dire nemmeno uccidere tutti i
membri di un popolo, ma anche solo alcuni o una parte di loro per
nessun’altra ragione che per l’appartenenza a quel popolo, a quel
gruppo, a quel “genus”. Volere che un popolo non esista, negare di
riconoscerlo, misconoscere la qualità umana dei suoi membri è l’inizio
del genocidio, come lo è stato l’apartheid, la soppressione
dell’identità degli Indios, il regime di discriminazione razziale in
America, la difesa degli uni identificata nella cancellazione o non
visibilità degli altri. Quello dei migranti è un popolo, di molte
nazioni, identificato dalla tragedia comune della fuga dalla guerra,
dalla violenza, dalla fame, dalla siccità, dallo sfruttamento coloniale,
dalla miseria endemica vigilata dalla Banca mondiale. Fare in modo che
essi non ci siano per noi, fermarli sulle zattere e sui barconi prima
che arrivino, ostacolarne con le armi e con i “codici” l’approdo,
rimandarli in terre di prigionia che non sono la loro patria, aiutarli a
casa loro, cioè a restarsene e a morire nei loro inferni, è un
genocidio, finché non si inventerà un’altra parola simile a questa. La
libertà dei mari era stata inventata da Grozio, come condizione e
culmine della modernità, a cui egli aveva offerto la formula della
laicità che vige tuttora. Stiamo buttando a mare anche quella, insieme
all’universalità dei diritti, insieme all’idea che gli uomini potessero
farcela a vivere insieme in giusti ordinamenti senza uccidersi.
Perciò pronunciamo oggi la grave parola "genocidio". Non per accusare ma perchè ci accorgiamo di quello che stiamo facendo, che stiamo per fare.
lunedì 7 agosto 2017
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