Un governo ci vuole. Ma intanto la
cosa da fare, fino a quando il nuovo presidente della Repubblica con tutti i
suoi poteri, compreso quello di sciogliere le Camere, potrà rimettere in marcia
la politica nazionale, è di legiferare. Non è affatto vero che senza un governo
in piena funzione le Camere non possono fare le leggi: il loro è un potere
autonomo, e anzi sarebbe bene che finalmente si legiferasse non per via di
decreti-legge fatti dal governo, ma con leggi veramente generate dal
Parlamento. Per questo occorrerebbe che tutti i gruppi parlamentari si
mettessero alla stanga, che lavorassero sei giorni alla settimana e in
pochissimo tempo dessero al Paese le leggi di cui il Paese ha urgente bisogno, e
che non è qui il caso di ricordare. Come hanno scritto i “Comitati Dossetti” ai
parlamentari del centrosinistra esortandoli a questa scelta, ben prima che
Grillo ne proponesse una variante sovversiva (“meglio stare senza governo”) ciò
“farebbe per la prima volta
del Parlamento il luogo privilegiato e più d’ogni altro visibile della politica
e della vita democratica”.
Ma intanto bisogna pensare a che cosa veramente
è successo Con il gran rifiuto del
Movimento 5 stelle ad adottare un’etica di responsabilità verso il Paese, la
Prima Repubblica veramente finisce. Non finì quando squadre di guastatori e di
untori tolsero di mezzo la sinistra, ripudiarono le preferenze, licenziarono la
proporzionale, imposero il bipolarismo, irrisero all’unità nazionale,
intronizzarono il danaro, prostituirono la politica e incapsularono il potere
del popolo sovrano nel potere d’acquisto del nuovo sovrano del popolo.
Nonostante tutto, per venti anni le istituzioni hanno retto alla sfida. Adesso
la devastazione è compiuta. Il riso beffardo di Berlusconi che, con o senza
occhiali neri, assapora la sua vendetta contro tutto il sistema politico che
aveva osato denunciarlo e deporlo, è la maschera tragica che deturpa il volto
della Repubblica nell’ora della sua agonia. E non importa se questa vendetta
ancora una volta è stata propiziata da una corruzione: perchè tale è stata la
promessa che l’ex premier, mettendo le mani nelle casse dello Stato, aveva
fatto agli elettori di una immediata dazione in denaro contante da 200 a 1000
euro a ciascuno corrispondenti all’ammontare dell’IMU pagata nel 2012. Senza
questa corruzione – e la complicità dei corrotti: “il corrotto non ha amici, ma
complici”, aveva detto Bergoglio quando era arcivescovo di Buenos Aires - la
destra sconfitta, e data per finita nei sondaggi, non avrebbe avuto nessuna rimonta e non potrebbe oggi cantare
vittoria contro i democratici.
La Repubblica finisce per la crisi di tutte le
sue istituzioni. Se ne dovrebbe fare l’analisi, ma qui ci limitiamo a solo quattro
titoli.
Crisi del Parlamento. La rappresentanza è stata
vanificata, per la manipolazione del meccanismo elettorale, e perchè il
bicameralismo non era compatibile con una legge elettorale che pretende di
essere maggioritaria ma, come fosse scritta da un ubriaco, produce maggioranze
contrapposte nella Camera e nel Senato.
Crisi dei partiti. Col finanziamento pubblico i
partiti hanno cessato di essere associazioni senza fini di lucro. Il lucro è procurato
dal consenso. I voti sono fonti di reddito, e se non si usano i voti per il
bene del Paese, in ogni caso si possono usare per il bene e la sopravvivenza
del partito. Divenuta superflua (e demonizzata) la “forma partito” e ripudiata
la democrazia interna, gli stessi partiti possono essere superati e mutarsi in
partiti aziende, partiti leggeri, partiti virtuali e partiti web.
Crisi della moneta. La moneta era la grande
istituzione della sovranità. Il sovrano era colui che batteva moneta. Con il
passaggio dalla lira all’euro quella sovranità è venuta meno, e non è stata
sostituita nè da una sovranità più vasta, a livello europeo, nè da altre forme
di indipendenza e di sovranità interne; tutta l’ideologia sovrana è stata
trasferita sullo strumento militare, polarizzato sulla proiezione esterna e
rifinalizzato alla difesa non più della patria, ma degli “interessi anche
economici dell’Italia ovunque essi siano in gioco”. Il punto di caduta di
questo nuovo “modello di difesa” non è l’Afghanistan, sono i fucilieri di
marina sulle navi mercantili, supportati da ministri degli esteri, della
difesa, presidenti del Consiglio e presidente della Repubblica, quando finiscono
nei guai perchè si mettono a sparare a vanvera, diventando così i nuovi eroi
nazionali.
Crisi della comunicazione politica. La trasmissione
in diretta dell’incontro tra Bersani e i capigruppo grillini reca l’annuncio
che cambia il fine della politica: non più il perseguimento del bene comune ma
la diffusione del messaggio. Lì, per Bersani, si doveva fare un governo; per i
grillini si doveva portare in scena una
performance, un atto unico, un insulto. Perciò per i grillini il fine è
stato raggiunto, per Bersani no. Ma “Ballarò” non l’ha interpretato il
segretario del PD; l’ha interpretato l’equipe grillina estremizzandolo fino
allo “streaming”. Nel Novecento Mac Luhan aveva capito che il “mezzo è il
messaggio”. Anche questo è ora passato. Oggi il messaggio è il fine. E così il
bene comune diventa una fiction, e
non è più neanche pensabile che si possa effettivamente realizzare.
Raniero
La Valle
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